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A cura di Rosalba Aversa

Di Mary Lynn Bracht, scrittrice americana, di origine coreana che, attualmente, vive a Londra. In un viaggio nel villaggio natio della madre, l’autrice viene a conoscenza dell’esistenza, all’epoca della dominazione giapponese, delle comfort women (donne di piacere) che, sottratte con la forza alle loro famiglie venivano” usate” per distrarre le truppe inviate al fronte, nella guerra Sino/Giapponese: si credeva così di dare forza ai soldati per combattere ed essere vittoriosi. Dell ’esistenza di queste donne si viene a sapere solo nel 1991, grazie alla denunzia di una di loro, Kim Haksun, che non viene creduta, anzi le poche donne sopravvissute e ritornate vengono tacciate da donnacce ed emarginate. Le loro stesse famiglie le allontanano perché hanno perduto il bene più prezioso: la purezza, sono pertanto disonorate e hanno disonorato tutta la famiglia. La situazione cambia quando l’olandese Jan Ruff O’Herne racconterà la sua storia all’udienza pubblica internazionale sui crimini di guerra, a Tokio nel 1992, ed attirerà l’attenzione di tutto il mondo occidentale. Mary Lynn Bracht dice di aver voluto parlare di questo avvenimento perché “Le donne non hanno mai avuto voce, soprattutto quando si tratta di guerra. La storia parla sempre di uomini, di soldati, di politica, di sovrastrutture, di economia, mai di donne. Eppure sono più della metà della popolazione e, dopo la guerra sono state le donne che hanno contribuito a ricostruire il PAESE. Ho scritto questo romanzo per far sentire la loro voce. Per ricordare la storia in modo diverso da come la ricorda il Giappone”……dice anche di voler ricordare” tutte le donne vittime di violenza del mondo: Uganda, Sierra Leone, Ruanda, Myanmar, Jugoslavia, Siria, Iraq, Afghanistan, Palestina, e altri Paesi ancora. La lista delle donne stuprate in tempo di guerra è lunga e continuerà ad allungarsi, a men che tale crimine non venga incluso nei libri di storia, non siano testimoniati nei musei tali atrocità, e le donne uccise non vengano ricordate con monumenti in loro onore, come la Statua della Pace”. Statua realizzata a ricordo del sacrificio delle donne di conforto e che il Giappone avrebbe voluto rimuovere, ma rimuoverla avrebbe significato “compiere il primo passo verso la negazione della verità. Il dolore per quanto sofferto non passerà o si attenuerà col tempo, ma ricordare aiuta a sopportarlo. “La guerra è orribile, brutale e ingiusta, e quando finisce sono necessarie scuse ufficiali, riparazioni e omaggi ai sopravvissuti, la cui storia deve essere ricordata. La Germania ha dato un esempio positivo, ammettendo le sue responsabilità, risarcendo gli ebrei per i crimini commessi dal Reich……e impegnandosi a mantenere vivo il ricordo di questa tragica pagina della loro storia.

Il romanzo, opera prima dell’autrice, narra la storia di un rapporto speciale tra due sorelle, Hana e Emiko. Rapporto che si manterrà vivo nonostante la separazione, la distanza, le distruzioni e la violenza nei confronti delle donne. Il racconto si snoda in due tempi diversi, in continua alternanza tra presente e passato

-1943, durante la seconda guerra mondiale, quando la Corea, sotto dominazione giapponese vive una costante azione di annullamento della sua identità: vietato ai coreani l’uso della loro lingua, delle loro usanze, dei loro riti, della loro cultura.

-2011 in una Corea in pace, Emiko, dopo tanta attesa e tanti eventi tragici, ritrova in un certo qual modo l’amata sorella e con lei, finalmente la pace.

Hana ed Emiko , in un romanzo tutto al femminile, danno voce ai loro ricordi, alle loro sofferenze, alle loro speranze, con uno sguardo innocente e dolce. La narrazione, emozionante e toccante, ha inizio a Jeju, una piccola isola del mar Giallo, dove vivono le donne haenyeo, le figlie del mare. Donne forti, indipendenti ed orgogliose che godono di una inusitata libertà perché svolgono un lavoro adatto solo a loro. Il corpo della donna è infatti più idoneo ad immergersi nelle fredde e profonde acque dell’oceano e resistere a lungo in apnea per raccogliere gli abaloni e poi rivenderli al mercato locale. Hana è la sorella maggiore e, sin da piccola ha seguito la madre, immergendosi e risalendo col suo piccolo tesoro da deporre al sicuro in una rete che la sorella Emiko custodiva sulla riva del mare. La loro è una famiglia serena che, pur con le limitazioni di un regime volto a cancellare la loro identità e la loro cultura, ha ancora la forza di lottare e sognare. Questo equilibrio precario si rompe in una fredda mattina in cui Hana, riemergendo dalle acque e, rivolgendo il suo sguardo alla sorellina, si accorge che sulla scogliera c’è una presenza ostile e minacciosa: un soldato giapponese, il caporale Morimoto. La ragazza sa della scomparsa di alcune sue coetanee ad opera dei nipponici e, temendo una sorte crudele per la sorellina che ha giurato di proteggere, raggiunge velocemente la riva e si fa catturare al suo posto. Da questo momento per lei e tutte le infelici ragazze catturate inizia un percorso di abusi, umiliazioni, dolori. Vengono portate in treno in Manciuria, in un bordello dove vengono private, oltre che della libertà, della dignità, del rispetto, anche del loro nome e, pertanto della loro identità. Per sopravvivere alle brutalità e alle condizioni di estrema crudeltà, Hana, ragazza forte e coraggiosa, trova rifugio nella fantasia e, durante gli stupri, si estranea dalla squallida realtà e si immerge nelle fresche acque del mare, finendo per sentire anche le alghe intrecciarsi alle sue gambe e immaginando anche di udire il richiamo della madre che la invita ad uscire e prendere la via di casa. La voce del mare la accompagnerà sempre in tutti i momenti difficili, dandole conforto e speranza: Hana non abbandonerà mai il pensiero di fuggire e di ritornare alla sua isola. Riuscirà a scappare dal bordello grazie a Morimoto, il suo persecutore che, avendo subodorato l’imminente tracollo dell’impero giapponese, decide di disertare, portando con sé la ragazza per farne poi la sua sposa. Questa cercherà in tutti i modi di sottrarsi al suo aguzzino che non comprende i suoi diversi tentativi di fuga e continuerà ad usarle violenza e sopraffazione. Gli chiederà” Perché devo venire con te?” E lui” Ho bisogno di te. Soltanto tu puoi alleviare la mia infelicità……Gli americani hanno ucciso la mia famiglia. Mia moglie, mio figlio Prima che scoppiasse la guerra, li avevo mandati ….in California…… Gli americani hanno dichiarato traditori e spie tutti i giapponesi residenti in America. Li hanno messi nei campi d’internamento…..Mio figlio è morto di stenti e, per il dolore, mia moglie si è impiccata” Per quanto si sforzasse Hana non riusciva a vedere in Morimoto un uomo degno di compassione. Non era rimasta nessuna umanità in lui, era morta con loro. ” Quando ti ho vista in mare ho capito che eri un dono degli dei. Sono sicuro che ti hanno destinata a me e che un giorno mi darai un altro figlio” La ragazza comprende in quel momento che non l’avrebbe lasciata andare via. Dopo tante peripezie e tanto dolore, con l’aiuto di una famiglia mongola riuscirà alla fine a liberarsi del caporale che, catturato, sarà costretto ad una morte onorevole: il suicidio con la su stessa spada. Hana ottiene la su libertà, ma non rivedrà mai più la sua amata isola, il suo mare, sua sorella. Si stabilirà in Mongolia vicino al lago Uvs che una volta era un grande mare per cui le sue acque sono ancor salate. Questo le sarà di conforto e le darà l’illusione di camminare sulla spiaggia e di respirare aria salmastra. Capire di stare volentieri con la famiglia mongola la libererà da un grosso peso, la farà sentire leggera, più forte e speranzosa.

Diversa la figura di Emiko, la sorella minore, la sua voce è più flebile, il suo agire più pacato. La sua vita sarà condizionata dal rapimento della sorella, di cui si sentirà sempre responsabile: il sacrificio di Hana peserà sul suo cuore sino alla morte. Nel 1948, prima ancora che scoppiasse la guerra tra le due Coree, in un paese devastato dalla guerriglia, dalla lotta tra comunisti e polizia, Emiko sarà costretta a sposare un giovane poliziotto del Nord, HyunMo, che doveva lasciare la sua terra, i suoi beni, i suoi affetti e ora voleva rifarsi una vita al Sud, impossessandosi della terra della moglie e della sua innocenza. Da questa unione nasceranno due figli con cui Emiko non riuscirà a relazionarsi in modo affettuoso e sereno. “La notte lui usufruiva dei propri diritti coniugali, ma di giorno non poteva toccarla. Era il patto che avevano stabilito affinchè lei smettesse di resistergli e potessero vivere insieme”. Vittima della paura incontrollata dei comunisti, l’uomo aveva denunciato la madre di Emiko, come comunista e ne aveva decretato la fine; la donna scomparve e, solo dopo tante ricerche, la figlia scoprì che era stata giustiziata, Da quel momento crebbe il suo odio nei confronti del marito che, avvertendo la sua ostilità, si chiuse in se stesso. “Era diventato un padre che prendeva decisioni senza il consenso della moglie, per esempio mandando la figlia a scuola, pur sapendo di quanto lei desiderasse diventare una haenyo. Di tanto in tanto, l’uomo faceva un tentativo di toccarla, o di avere un contatto emotivo, ma lei si ritraeva sempre. Emi non gli avrebbe mai perdonato la morte della madre.” I figli osservavano, senza comprendere che la donna volesse così proteggerli ed isolarli dagli orrori del mondo. HyunMo ed Emi vissero gli anni successivi senza più comunicare. Solo sul letto di morte l’uomo fu in grado di rivelarle i suoi veri sentimenti” Ti ho sempre amata……A modo mio, ti ho amato…Non odiarmi così tanto anche dopo che sarò morto……Brucia l’incenso per i miei antenati, se dovessi mai scoprire che puoi perdonarmi” E lei” Perdonarmi per cosa? Per mia madre?” “Perdonami……. anche per quello che non riesco a dire….per tutto” Furono queste le sue ultime parole. Alla sua morte lei provò un senso di sollievo e, il giorno della sepoltura una profonda tristezza. Emiko, dopo la morte del marito, vivrà ancora isolata, lontana dai figli e incapace di comunicare loro il proprio affetto e le proprie angosce. Nel sonno continuerà a sentire la voce di una ragazza che la chiama con insistenza. “E’ Hana?” si domanda. L’angoscia per la sorella perduta la spingerà a partecipare a manifestazioni, iniziate solo nel 1992, per chiedere giustizia al governo giapponese. Alla millesima manifestazione, seppure gravemente ammalata, assisterà all’ inaugurazione della statua della pace realizzata per ricordare il dramma delle donne di conforto. Nel volto della ragazza riconosce Hana e dirà “Finalmente mi ha ritrovata”. E ritroverà anche lei la sua pace.

Ho letto e riletto il libro con piacere perché come dice Vladmir Nabokov ne ”Lezioni di letteratura” una prima lettura è solo un semplice lavoro fisico. Per trarne anche godimento artistico, bisogna rileggere, “andando oltre la storia e riconoscendo al tempo stesso, il genio individuale dello scrittore e l’architettura dei testi.”

“Figlie del mare” è un romanzo che ti prende, ti conquista gradatamente, con la sua storia di violenza su donne libere e coraggiose, ma impotenti davanti ad uomini che le considerano “oggetti passivi”, schiave del loro potere, mero strumento di piacere. Donne capaci di superare “con allegria e senso della comunità le sofferenze patite da giovanissime in Corea del Sud”. E’ un romanzo al femminile che si legge facilmente perché la scrittura è semplice e lineare, ma questo è stato profondamente voluto dall’autrice, il cui fine era catalizzare l’attenzione del lettore sul tema e non su di sé e le sue capacità narrative.

Per rendere omaggio a queste donne, Mary Lynn Bracht ha incluso nel libro questa poesia “In ricordo della mia adorata sorella ( Je Mang Me Ga)

Avevi paura che la strada della vita e della morte fosse arrivata,

così te ne sei andata senza nemmeno dirmelo.

Come foglie sospinte dal primo vento autunnale,

nate da un ramo, nessuno sa dove vanno.

Oh! Aspetterò il momento d’incontrarti nel Mitachal

Pregando e cercando l’illuminazione.


Soverato, 21 gennaio 2019


















 
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